N. 10. Condivisione solidale della Parola di Dio della V domenica Q/C (Is.43, 16-21; Sal125/126; Fil 3, 8-14; Gv 8, 1-11). Una sentesi per il mio vivere cristiano – N. 10.
Medito essenzialmente sul brano del vangelo (Gv 8, 1-1) che presenta il fatto della donna sorpresa in fragrante delitto di adulterio. Come dice la radice latina di questa parola “ad alter“, andare ad altro, si tratta di una donna sposata sorpresa in quell’atto con un uomo altro che il suo marito. Se non fosse sposata non si sarebbe parlato di “adulterio“, ma di “fornicazione“.
Per mettere Gesù alla prova, gli scribi e i farisei che presentano la donna e il suo caso a Gesù precisano: “Ora Mosè, nella , ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?“(Gv8, 5).
La legge di Mosè viene da Dio, e la legge è legge. Come dicono i latini: “Dura lex, sed lex“. E’ dura ma è legge. Nessuno è al di sopra della legge (tranne Dio).
Gesù non risponde a caldo a questa prova, egli si china e scrive per terra con il dito (cfr. Gv 8, 6).
Con l’insistere degli accusatori della donna, allora Gesù si alza e dice a questi accusatori: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (Gv 8, 7).
Qui è il punto. Il male non è male solo quando è scoperto. E’ intrinsecamente male anche quando è coperto nel segreto più profondo che solo Dio conosce in ogni persona umana. Perciò occorre scavare nel segreto del proprio cuore prima di dare inizio all’applicazione o esecuzione della liceitàdi quella legge, uguale per tutti, nei riguardi dell’adultera sorpresa. Basterebbe punire solo lei perché è stata sorpresa? Dov’è il suo complice, l’alter, perché quella cosa si fa almeno in due, se non è perversione come non nel caso di scambismi , orge o altri?
Per non condizionare nessuno con lo sguardo dell’unico che è senza peccato, lui stesso Gesù, egli si china di nuovo per continuare a scrivere per terra, per lasciare ciascuno libero di parlare del tu al tu nel proprio cuore con se stesso, pur tenendo nelle mani pietre pronte da scagliare sulla sorpresa adultera… Gesù lascia a tutti il tempo di riflettere bene prima di agire impulsivamente con i muscoli…
Mi viene in mente una piacevole metafora della filosofia di Immanuel Kant nella sua Critica della Ragion pura, riguardo i concetti filosofici della responsabilità, autonomia, imputazione, libertà… E’ la metafora del Tribunale della coscienza in cui il corum judicio è l’espressione della coscienza morale dove si realizza l’imputazione interna di un atto che costituisce un caso soggetto della legge morale.
Qui, la coscienza morale è come un giudice che veglia sulle leggi che devono governare tutte le azioni umane come atti morali. Essa si presenta come un tribunale, come la giurisdizione che si occupa della sanzione morale degli atti umani. Ha le caratteristiche di un tribunale con i suoi tre poli: – l’imputato o l’accusato, – la vittima, e, – il giudice.
Nella metafora della corte di giustizia a cui viene paragonato il tribunale interno della coscienza, c’è 1) un procuratore che rappresenta la legge, la quale non è “il campo del sentimento” ma della ragione. Questa legge è incorruttibile , pura e giusta, inviolabile. 2) Vi è anche un avvocato difensore che è l’autostima che, di fronte al pubblico ministero, cerca di discolpare l’imputato. 3) E c’è un giudice che condanna o assolve secondo un giudizio onesto che non può essere accecato.
Tuttavia la “controversia” non deve essere composta amichevolmente, ma seguendo il rigore del diritto. Il verdetto avendo forza legale della coscienza sull’uomo,- che lo assolve o lo condanna-, ne è la conclusione.
Le parti in presenza del tribunale della coscienza sono distinte da Kant, rispettando sempre la struttura di un caso giudiziario in cui si trovano: l’imputato o l’accusato, la vittima e il giudice. In realtà si tratta di un tribunale originale in cui l’accusatore e l’accusato sono lo stesso uomosoggetto della legislazione morale derivante dal concetto della libertà. Dal punto di vista pratico, l’uomo è sottoposto a una legge che egli stesso si è data diversamente dall’uomo sensibile dotato di ragione. Non si tratta della realtà fattiva.
Mi è venuta in mente questa metafora studiata nel corso della laurea in filosofia (in corso), perché, secondo me, la risposta di Gesù di fronte alla prova tesa dagli scribi e i farisei, rinvia alla coscienza umana di ciascuno sul senso e la responsabilità riguardo al peccato e all’agire umano conseguente.
In base a tale esame di coscienza, gli accusatori se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. “Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo“(cfr. Gv 8,9 ). Se ne andarono lasciando cadere sicuramente le pietre che avevano nelle mani per colpire la sorpresa adultera. La coscienza–giudice ha agito pronunciando la sua sentenza nel tribunale interiore di ciascun accusatore di fronte alla vittima e imputata (esteriore) del loro giudizio secondo la liceità della legge mosaica.
Al verdetto del tribunale della coscienza segue il verdetto del Giudice Supremo, il Legislatore, il quale è veramente senza peccato, il Figlio di Dio che chiede: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?“. Alla risposta della donna. “Nessuno, Signore“, Gesù pronuncia il verdetto finale: “Neanch‘io ti condanno: va’ e cd ora in poi non peccare più” (cfr. Gv 8, 11). Per dire, sei colpevole secondo la legge, sei anche peccatrice davanti a Dio, come tutti i tuoi accusatori. Ma, io, Dio misericordioso, ti faccio grazia, ti perdono, ma ti invito a non permanere nel male, nel peccato…
L’ “adultera” sono io quando non seguo la volontà di Dio, quando mi allontano dalla sua Legge suprema che è il vero Amore! Non c’è bisogno che vengo sorpreso nella flagrante trasgressione di questa Legge per poter cominciare a convertirmi. Il male è male a prescindere dall’essere sorpreso!
“La misericordia è necessaria per fare in modo che ogni ingiustizia del mondo trovi il suo termine nello splendore della verità” (San Giovanni Paolo II):”La miséricorde est nécessaire pour faire en sorte que chaque injustice du monde trouve son terme dans la splendeur de la vérité (Saint Jean-Paul II, Une pensée par jour, Médiaspaul, Montréal (Canada), 2009, p. 34.
Sac. Faustin K. Mundendi
Lascia un commento